

-I CLASSICI FANTASY PER RAGAZZI-
DANIELE BELLO
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Prologo
Una moltitudine di persone (bambini, giovani e vecchi) si raduna davanti alla reggia; recando in mano ramoscelli di ulivo, siedono sui gradini di un’ara; levano gemiti e preghiere. Poco dopo, sulla soglia della reggia appare Edipo
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Edipo: Figli miei, nuova stirpe dell’antico Cadmo, perché state seduti sui gradini con questi rami, come dei supplici? La città di Tebe è piena di incensi, di preghiere e di lamenti. Figli miei, non volevo chiedere notizie ai messaggeri e così sono venuto di persona: io, il famoso Edipo (come a voi piace chiamarmi). Dimmi tu, vecchio: tocca a te parlare, prima degli altri. Perché siete qui? Che cosa temete? Che cosa sperate? Io voglio aiutarvi. Non avrei cuore, se non provassi pietà per le vostre preghiere.
Sacerdote: Edipo, re di questa terra, tu ci vedi seduti davanti alle tue are; siamo persone di ogni età: ci sono dei piccoli, che sono come uccelli senza piume che non hanno la forza per volare; ci siamo noi vecchi sacerdoti (io lo sono di Zeus) e poi c’è il fior fiore dei giovani. Altra gente siede per le piazze con i rami dei supplici sul capo: davanti al tempio duplice della vergine Atena e davanti all’ara di Apollo Ismenio, con i fumi della cenere profetica. La città, come vedi tu stesso, è una nave sbattuta dai marosi: non riesce a rialzare la testa dal baratro della sanguinosa tempesta; la morte domina tra i frutti della terra, tra i buoi delle mandrie, tra i parti abortiti delle donne. Una divinità fa vibrare il fuoco: è la peste devastante che incombe sulla città e la tormenta; si svuotano le case dei Cadmei e l’oscuro Ade si arricchisce di pianti e di lamenti. Io e questi figli siamo seduti davanti alle tue are non perché ti consideriamo pari agli dèi ma perché sei il primo dei mortali nelle mutevoli vicende umane (sono i demoni a mutare la nostra sorte). Giungendo alla città di Tebe, ci hai liberato dal tributo che pagavamo alla feroce creatura dal canto misterioso; e questo senza aver saputo nulla da noi, prima: hai salvato le nostre vite solo grazie all’aiuto di un dio (così si dice). Ora, Edipo, tu che sei il migliore per tutti quanti noi, noi ti supplichiamo: salvaci! Che ti illumini l’oracolo di un nume o la voce di un mortale, in qualche modo: vedo bene che danno buoni frutti i consigli di chi ha sofferto nella vita. Tu che sei il migliore dei mortali, rimetti in piedi la città di Tebe! Provvedi senza indugio! Per l’antica impresa, questa terra ti chiama già salvatore: che non succeda che del tuo regno rimanga questo ricordo, che ci siamo rialzati e poi siamo di nuovo caduti. Rimetti in piedi saldamente la città! Già un’altra volta ci hai dato la salvezza, grazie ad un lieto auspicio: ora sii come allora! Se vuoi essere (come sei) il sovrano di questa terra, allora è meglio regnare su territori popolati piuttosto che disabitati. Una torre o una nave non valgono niente, se nessuno ci vive.
Edipo: Poveri figli miei! Conoscevo i vostri dolori, non mi sono ignoti. So che soffrite tutti; ma anche se il morbo vi opprime, nessuno di voi soffre quanto me. Il vostro dolore ricade su di voi e su nessun altro; il mio animo invece piange anche per voi e per la città tutta. Non mi avete risvegliato dal sonno, io non dormivo; sappiate che ho versato molte lacrime, ho percorso molte strade mentre il pensiero vagava irrequieto. Dopo averci pensato, ho attuato l’unico piano che mi è venuto in mente: ho mandato mio cognato Creonte, il figlio di Meneceo, alle are pitiche di Apollo per capire che cosa devo dire o fare per la salvezza della città. Se penso al tempo che è passato da quel giorno, mi preoccupo: ci sta mettendo più di quanto era previsto o necessario. Quando arriverà, sarei uno sciagurato se non facessi quanto il nume comanda.
Sacerdote: Parli a proposito: mi hanno fatto cenno proprio adesso che Creonte sta arrivando.
Edipo: Signore Apollo, fa che arrivi con lo sguardo luminoso e che ci porti speranza e salvezza.
Sacerdote: Per quello che posso intravedere, sembra lieto: porta una corona con foglie e bacche di alloro.
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Edipo: Lo sapremo subito: è abbastanza vicino da sentirmi. Principe e cognato mio, figlio di Meneceo, quale responso del nume ci porti?
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Entra Creonte
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Creonte: Buono! Io dico che anche il male può trasformarsi in bene, se c’è un esito felice.
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Edipo: Che responso è mai questo? Il tuo parlare non mi ispira né fiducia né paura.
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Creonte: Sono pronto. Vuoi che io parli davanti a tutti o preferisci entrare nella reggia?
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Edipo: Parla davanti a tutti. Mi tormento più per loro che per la mia vita.
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Creonte: Ti dirò quello che ho ascoltato dal nume: chiaramente ci impone di estirpare la piaga nata e cresciuta in questa terra; di smettere di nutrirla, prima che diventi incurabile.
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Edipo: Che specie di piaga è? E come si può estirpare?
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Creonte: Dobbiamo bandirla; o riscattare il sangue con il sangue: è questo sangue sparso che non dà pace alla città.
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Edipo: Sangue sparso? Chi ebbe questa sorte?
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Creonte: Un tempo, mio signore, prima che tu reggessi la città Laio era il nostro re.
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Edipo: Ne so qualcosa per sentito dire: ma non mai l’ho visto.
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Creonte: Per questa morte ora il nume ci comanda di punire duramente gli assassini.
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Edipo: E dove si trovano? Dove trovare le tracce oscure di un antico delitto?
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Creonte: In questa terra; così disse il nume. E disse anche che le tracce si possono trovare ancora; sfugge solo ciò che si trascura.
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Edipo: Dove fu ucciso Laio? In casa, nei campi o in terra straniera?
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Creonte: Non fu ucciso in patria, ma lontano; partì per consultare un oracolo, ma non tornò più.
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Edipo: Nessuno vide qualcosa, che possa esserci d’aiuto? Neppure un messaggero o un compagno di viaggio?
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Creonte: Sono tutti morti; uno fuggì per paura, ma non ci disse nulla di certo tranne una cosa.
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Edipo: Che cosa? Un solo punto può aprire molte vie, se si coglie un barlume di speranza.
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Creonte: Disse che lo incontrarono certi ladroni, lungo la strada; non venne ucciso da una mano, ma da più persone.
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Edipo: Come può un ladrone arrivare a tanto? Di certo, è stato pagato da qualcuno che ha ordito una congiura dentro questa città.
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Creonte: Così abbiamo pensato anche noi. Ma dopo la morte di Laio nessuno lo ha vendicato; un altro male incombeva.
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Edipo: Quale male vi ha impedito di indagare su questo delitto, che ha reso vacante il trono?
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Creonte: La Sfinge con i suoi canti misteriosi ci obbligava a guardare il male presente e a trascurare quello occulto.
Edipo: Io farò chiarezza sin dal principio: dal momento che giustamente Febo e tu avete preso a cuore la vicenda del povero estinto, io sarò vostro alleato nel rendere giustizia a questa terra e allo stesso nume; io disperderò questo male non per amici lontani, ma per me stesso. Perché, chiunque sia l’assassino, di certo vorrà infliggere la stessa pena anche a me: vendicando Laio, io faccio del bene a me stesso. Adesso alzatevi da questi gradini, figli miei, e raccogliete questi rami da supplici: si raduni qui il popolo di Cadmo; io sono pronto a tutto. Alla fine, con l’aiuto del dio, trionferemo o saremo perduti!
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Sacerdote: Figli, alziamoci! Il re ha promesso quello che siamo venuti a chiedere. E Febo, che ci ha mandato questi oracoli, ora venga a salvarci allontanando il morbo.
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Edipo entra nella reggia. Il Sacerdote si allontana e la folla lo segue