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Esiodo

EOIE

 

(a cura di Daniele Bello)

 

​

​

Libro V

 

95.

 

Aspirava alle sue nozze Filottete, condottiero di uomini armati di lancia, 1

dalla lontana Magnesia, il quale eccelleva su tutti gli eroi 

nel saettare da lontano e per la sua lancia di frassino; 

egli si avviò alla opulenta città di Tindareo, a causa della fanciulla

Argiva, che aveva l’aspetto dell’aurea Afrodite. 5

A generare questa fanciulla, che possedeva lo splendore delle Cariti,

fu Leda; ed ella, nelle stanze splendenti del sovrano Tindareo, 

cresceva: la vergine dagli occhi neri […]

[…]

[…]10

[Colonna II]

[offriva in dono] altrettante donne, esperte in opere irreprensibili, 

che avevano tutte in mano auree coppe. 

Ed allora senza dubbio Castore ed il forte Polideuce 

lo avrebbero fatto loro cognato per forza; però Agamennone, 

che era il cognato, la desiderava come sposa per il fratello Menelao. 15

I due figli del sovrano Anfiarao, figlio di Oicleo, 

aspiravano alle sue nozze da Argo che era lì accanto; ma anche loro 

li spinse la punizione degli Dei beati ed il castigo degli uomini

[…]

[Colonna III]

ma non c’era impresa fatta con inganno nella stirpe di Tindaro. 20

Da Itaca aspirava alle sue nozze la sacra potenza di Odisseo, 

il figlio di Laerte, esperto di astuti disegni. 

Però egli non mandava doni per la fanciulla dalle sottili caviglie:

sapeva infatti nell’animo suo che il fulvo Menelao

avrebbe riportato la vittoria: per beni era il più potente fra gli Achei; 25

mandava bensì sempre messaggi a Lacedemone 

per Castore domatore di cavalli e Polideuce vincitore di gare. 

Gente degli Etoli aspirava alle sue nozze: Toante, figlio di Andremone, 

del divino figlio di Ares; egli recava doni infiniti, 

molti splendidi pomi e buoi ben pasciuti dal passo ondeggiante, 30

[poiché voleva a ogni costo divenire lo sposo di Elena]

[Colonna IV]

[mandava bensì sempre messaggi a Lacedemone]

per Castore domatore di cavalli e Polideuce vincitore di gare. 

spinto dal desiderio di essere lo sposo di Elena dalla bella chioma

(pur non conoscendola di vista, ma avendo inteso dagli altri la fama). 

E da Filace aspiravano alle sue nozze due eroi eccellenti:

Podarce, il figlio di Ificlo della stirpe di Filaco, 35

ed il prode Protesilao, il superbo figlio di Attore;

entrambi mandavano messaggi a Lacedemone, 

alla casa di Tindaro, del saggio figlio di Ebalo;

e molti doni recavano - grande infatti era la fama di quella donna -:

oggetti di bronzo […] e di oro […]40

[Colonna V]

voleva ardentemente nell’animo suo divenire lo sposo 

dell’argiva Elena dalla bella chioma. 

E da Atene aspirava alle sue nozze Menesteo, il figlio di Peteoo;

molti doni nuziali recava: molte cose preziose egli infatti 

possedeva: oro, lebeti e tripodi, di grande 45

bellezza, che giacevano dentro la casa del sovrano Peteoo: 

con essi il suo cuore gli dettava di conquistare la sposa, 

recandone tanti e tanti, poiché egli pensava che non ci fosse 

nessuno; fra tutti gli eroi, più potente di lui per beni e regali. 

E lasciò le case di […] il forte 50

[…] a causa di Elena dalla bella chioma.

 

96a.

 

Licomede era Cretese, come dice Esiodo, quando fa l’elenco dei pretendenti di Elena.

 

96b.

 

[Mancano 40 versi]

[…] aspirava alle sue nozze; e dopo il biondo Menelao 41

era quello che offriva più doni fra i pretendenti: molto, nell’animo suo,

desiderava essere lo sposo di Elena dalla bella chioma. 

Ed Aiace, l’irreprensibile guerriero, da Salamina 

aspirava alle sue nozze; e recava doni adeguati, oggetti meravigliosi; 45

diceva che, tra quanti abitavano a Trezene, ad Epidauro vicina al mare,

nell’isola di Egina e nella città di Masete (tra gli Achei), 

a Megara ombrosa e sull’eccelso ciglio di Corinto,

nelle città di Ermione e di Asine poste lungo la riva del mare,

egli avrebbe raccolto ed offerto i buoi dal passo ondeggiante 50

e le pingui greggi: tanto egli era famoso per la sua lunga lancia! 

Dall’Eubea aspirava alle sue nozze Elefenore, condottiero di popoli, 

figlio di Calcodonte, condottiero dei magnanimi Abanti. 

Ed egli offriva numerosi doni; molto, nell’animo suo,

desiderava essere lo sposo di Elena dalla bella chioma. 55

E da Creta aspirava alla sua mano la grande potenza di Idomeneo, 

il figlio di Deucalione, che era stirpe dell’illustre Minosse. 

Egli non mandò nessuno ad annunziarlo come pretendente, 

ma partì egli stesso su una nera nave dai molti banchi, 

per il mare Ogilio, attraversando la fosca distesa dei flutti, 60

verso la casa del saggio Tindareo, per poter vedere di persona

l’argiva Elena e non ascoltare soltanto dagli altri 

quel racconto che si spandeva per tutta la terra divina.

[…] per istigazione di Zeus, che meditava un grande disegno

[Dei vv. 65-75 si leggono poche lettere]

[…] a causa della fanciulla 

[…] né voleva [Tindaro]

a tutti i pretendenti chiedeva giuramenti fidati;

comandò di giurare e stringere un patto dinanzi al fuoco 

del sacrificio: che nessun altro (tranne lui) avrebbe ordito un disegno diverso80

riguardo alle nozze della fanciulla dalle belle braccia: quello tra gli uomini

che l’avesse presa a forza ed avesse deposto il rispetto e il pudore, 

contro costui egli ordinava di schierarsi tutti compatti, 

per fargli pagare il castigo. Ed essi senza indugio obbedirono, 

sperando ciascuno di essere il prescelto; ma tutti li vinse 85

l’Atride, Menelao amante della battaglia, 

recando moltissimi doni. Chirone intanto sul Pelio selvoso 

accompagnava il Pelide dal piede veloce, il più forte degli uomini, 

che era ancora fanciullo […] e difatti il bellicoso Menelao 

non lo avrebbe mai superato, né alcun altro degli uomini mortali, 90

nella gara per le nozze di Elena, se l’avesse trovata ancora nubile

il veloce Achille, tornando a casa dal Pelio. 

Invece Elena la possedette prima il bellicoso Menelao; 

ed ella generò nelle stanze la figlia Ermione, superiore 

ad ogni aspettativa. Fu allora che gli Dei tutti si divisero, 95

per una contesa; infatti in quel tempo meditava un disegno

Zeus altitonante, quello di far crescere sulla terra infinita 

tumulti; ciò per annientare la stirpe degli uomini mortali 

per buona parte, con il pretesto di distruggere la schiatta 

dei Semidei, perché non potessero unirsi in amore ai miseri mortali100

i figli degli Dei, mirando con i loro occhi il destino dei numi;

perché i beati, nel tempo a venire come per il passato, 

tenessero un modo di vivere diverso da quello degli uomini;

mentre [agli eroi discendenti] da immortali e da uomini mortali 

[…] scagliò dolori su dolori105

Zeus […] ed annientò quella stirpe gloriosa. 

[…]

[così che] i piccoli alla mammella [non potessero succhiare il latte], 

[…] né alcuno tra gli uomini 

avesse facile vita, né potesse salire sulle nere navi. 110

E neanche colui che si vantava di essere il più forte

[…] fra gli uomini mortali [poteva allontanare questo malanno].

[Neppure Apollo], che vaticina a tutti gli eventi (il passato, il presente e 

gli eventi del futuro), il quale considera altamente ed onora 

la volontà del padre Zeus adunatore di nembi.115

Infatti nessuno allora sapeva bene, 

né tra gli Dei beati, né tra gli uomini mortali,

che le lance avrebbero spinto giù nell’Ade infinite 

schiere di eroi caduti nella mischia; ma egli 

non poteva in alcun modo presagire il disegno del padre! 120

Ma in quel tempo gioivano, nel salvare i loro figli dal destino 

di morte, gli uomini; egli invece gioiva della forza del senno 

del padre suo dalla larga potenza, che tramava malanni per gli uomini.

Molte belle foglie volteggiavano dagli alti alberi 

scendendo giù a terra, ed i frutti cadevano al suolo, 125

per il soffio di Borea che spirava con violenza al comando di Zeus; 

il mare ribolliva ed ogni cosa tremava al suo soffio; 

la forza umana illanguidiva, i frutti si staccavano a primavera, 

quando l’essere senza capelli [il serpente] sui monti genera 

al terzo anno nelle viscere della terra tre figli. 130

Nella primavera egli infatti sui monti, tra le fitte macchie e nei boschi, 

se ne va, scansando e detestando le vie battute dagli uomini, 

abita le strette gole e le convalli boscose; 

quando poi sopraggiunge l’inverno, sotto la terra […]

giace avviluppato in molte foglie;135

esso, il serpente terribile, scuro sul dorso [...]

ma aggressivo e selvaggio [...]

annientano i dardi di Zeus [...]

la sua anima rimane sola [...]

intorno al suo letto che si dissolve da sé140

svolazza, occupa un rifugio esiguo [...] sotto terra;

si avvia ridotta ad un’ombra [...]

e giace [...]

 

97a.

 

Esiodo nel libro quinto del “Catalogo” dice:

A se stesso dispensatore di morte.1

 

97b.

 

Esiodo dice che Endimione, figlio di Aetlio nato da Zeus, e di Calice, ricevette da Zeus il dono di essere dispensatore di morte per se stesso, quando aveva in animo di morire.

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