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L'ESTRANEO

(Daniele Bello)

 

 

 

1.

​

 

Le luci dell’alba avevano appena fatto capolino tra le fronde quando il giovane druido Vidimer schiuse le palpebre e si risvegliò da un sonno breve ma rigenerante; si stiracchiò tra le coperte per qualche giro di clessidra, poi si inoltrò nella foresta per le sue abluzioni quotidiane. Una volta provveduto alle prime necessità della giornata, mormorò una preghiera in nome della Madre Terra e si mise a ravvivare la brace all’interno del bivacco; poi, con gesti lenti e misurati, cominciò a preparare un pasto frugale.

Qualche istante dopo aprì gli occhi Thielvar, il guerriero: “Non esiste risveglio migliore di quello con il profumo della carne alla brace. Forse qualcuno sta preparando la colazione?”.

“Già – rispose il druido – Poi non dire che non vi tratto bene”.

“Consentimi di dubitarne – sorrise il guerriero – Soprattutto dopo tutte le miglia percorse in questi ultimi giorni”.

“D’accordo. Allora consideralo un guidrigildo[1]”.

“Purché sia buono per me va bene tutto. A proposito… cosa stai preparando?”.

“Pancetta, radici e frutta secca”.

“Mi sa che dovremo andare a caccia, uno di questi giorni, se vogliamo cambiare un po’ la nostra dieta”.

“Purtroppo la selvaggina non abbonda, in queste lande”.

“Magari troviamo lo stesso qualcosa. Anche qui sei costretto a fare la solita scenetta della preghiera e della goccia di sangue, dopo che abbiamo ucciso la preda? In fondo non ci vede nessuno, in queste terre desolate”.

Vidimer sorrise: “Te l’ho già spiegato più di una volta, Thielvar. Il rituale di cui parli non ha nulla a che vedere con il ‘farsi notare’: semplicemente, è parte integrante della filosofia druidica”.

“Va bene, ma tu sei troppo ligio”.

“Non sono d’accordo: il mondo che ci circonda è dominato dal ciclo continuo della nascita, della morte e della rinascita. Se, nel corso di questo ciclo, un essere vivente viene ucciso per sfamare un altro essere vivente questo non stona nel grande disegno divino. Tuttavia, poiché l’essere ucciso ha in qualche modo offerto la sua vita, è bene che l’altro essere che se ne nutre sia grato di questo dono e consapevole del sacrificio che questo ha comportato. Per questo noi druidi dopo la caccia invochiamo la Grande Madre per ringraziarla e doniamo una goccia del nostro sangue perché ritorni alla terra. Un gesto simbolico, senz’altro, ma che serve a noi uomini per ricordarci di quanto ci viene concesso ogni giorno; e soprattutto serve per rammentarci che non dobbiamo abusare di questi donativi”.

“D’accordo, d’accordo. Mi hai convinto. Che ne dici ora se ci mettiamo a mangiare? Le chiacchiere mi mettono appetito”.

Vidimer annuì: “Senz’altro. Sveglia, Uthgar e Thorismund. La pancetta va mangiata croccante”.

 

2.

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Una volta consumato il primo pasto della giornata Vidimer scrutò l’orizzonte; il turbamento che provava da quando aveva iniziato il viaggio si stava facendo sempre più intenso via via che proseguivano verso settentrione. D’un tratto, il suo sguardo si volse verso l’azzurra volta del cielo: emise un verso simile a quello di un rapace e poi si mise in silenziosa attesa, mettendo l’avambraccio in posizione sospesa, a mo’ di trespolo; qualche istante dopo, un’aquila dal manto fulvo si posò placidamente accanto a lui.

I due iniziarono a comunicare con un linguaggio sconosciuto agli uomini: il druido emetteva versi dal timbro musicale che riecheggiavano il suono effuso dai volatili del bosco; l’animale sembrava di volta in volta annuire o inserirsi nella discussione con strida o movimenti dell’ala.

Quando la regina del firmamento spiccò nuovamente il volo, il druido assunse una espressione corrucciata; stava ancora grattandosi nervosamente il mento con il pollice e l’indice quando Thielvar gli si avvicinò: “I ragazzi hanno dato da mangiare ai cavalli e rimesso a posto il bivacco; abbiamo lasciato tutto come era prima… - il guerriero sorrise - proprio come desiderano quei rompiscatole dei druidi. Ci rimettiamo in viaggio?”.

“Sì”, replicò il druido con tono asciutto, ma con la fronte ancora aggrottata.

“Qualcosa non va? Forse quell’uccello del malaugurio ti ha portato brutte notizie?”.

Vidimer abbozzò un mezzo sorriso: “L’aquila non ha fatto altro che confermare le mie visioni. C’è qualcosa di strano, a nord; qualcosa che tutti gli animali temono e percepiscono come un pericolo”.

“Beh… è proprio per questo che ci siamo messi in marcia; o mi sbaglio? Per debellare questa minaccia”.

“Già…”, mormorò il druido.

“Qualcosa non ti convince, Vidimer – commentò il guerriero – Ti conosco da troppo tempo. Che cosa c’è che non va?”.

“Non saprei dirtelo con precisione. Fino a poco tempo fa i segnali che ricevevo dal Wyrd erano sinistri e minacciosi. Come se ci fosse appunto un nemico in agguato. Adesso, però…”.

“Io non conosco il Wyrd di cui parli sempre ma ti ho seguito in tante missioni e so che il tuo intuito raramente sbaglia. Che cosa senti, adesso?”.

“Non lo so con esattezza… c’è una nota stonata nelle linee del potere. Ma non la percepisco più come un pericolo. Piuttosto… come un corpo estraneo”.

“Nemico o estraneo fa poca differenza, a volte”.

“Tu dici?”.

“Ad ogni modo… lo scopriremo solo avvicinandoci alla fonte delle tue visioni. Non sei d’accordo?”.

“Stai diventando saggio, per essere un uomo d’armi”.

“A furia di frequentare druidi… vado peggiorando anche io – disse sorridendo Thielvar – Pronto a balzare in groppa al tuo palafreno? O hai bisogno di una mano? Ti vedo piuttosto debole, negli ultimi giorni”.

Vidimer accarezzò teneramente il suo cavallo; poi con un balzo saltò in groppa all’animale e fece cenno agli altri di seguirlo: “In marcia, ragazzi. Ci attende una lunga traversata”.

“Avevi dubbi, Uthgar?”, commentò un giovane guerriero dai lunghi capelli biondi.

“Neppure per un attimo, Thorismund! – commentò l’altro, ridendo sotto i suoi baffi rossi - E vediamo dove ci porta il nostro maestro druido”.

“Fate meno gli spiritosi, ragazzi, e venite dietro di noi al piccolo trotto”.

“Gli Dei aiutano la gente allegra, Thielvar! – rispose Uthgar – E anche se fossimo di fronte alla morte, io e Thorismund la affronteremmo con il sorriso sulle labbra”.

 

 

 

 

3.

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​

Il sole era già in alto nel cielo e il gruppo si stava inoltrando da diverso tempo nella Foresta Nera. I raggi dell’astro lucente facevano ogni tanto capolino tra i rami degli abeti e delle felci dalle ampie fronde; il mormorio di un ruscello in lontananza diffondeva tutt’intorno un’aura di calma e serenità e sembrava cullare i movimenti di tutti gli esseri viventi che brulicavano nel bosco.

“Druido Vidimer – fu Thorismund a rompere il silenzio – Ma tu sei veramente sicuro di quello che stiamo facendo? Hai un’idea di dove stiamo andando?”.

“Giovane guerriero del Boemir, perché mi fai questa domanda? È forse la prima volta che affrontiamo un’avventura insieme?”.

“Beh… no”.

“Ti ho forse mai deluso?”.

“Che gli Dei mi siano testimoni – si intromise Uthgar – non potremmo mai affermare una cosa del genere… torti da raddrizzare, pericoli da affrontare, scontri con creature infernali. E soprattutto… tanti tesori con cui festeggiare le nostre epiche imprese. Vidimer ha ragione, Thorismund: dobbiamo fidarci del nostro druido”.

“Ti ringrazio della fiducia, Uthgar. E allora che ne dite di festeggiare la nostra rinnovata unione con un lauto pasto? Vedo una radura più avanti: potrebbe essere il luogo ideale per accamparsi”.

“Già me lo immagino, questo lauto pasto: frutta secca e radici. Roba da nobiluomini”.

 

“Continui a non essere convinto, vero?”, mormorò Thielvar mentre dava da mangiare ai cavalli.

“Già”.

“Che cosa ti succede? In tanti anni che ti conosco non ti ho mai visto così… dubbioso”.

“È difficile da spiegare: provo delle sensazioni strane, anomale… come non ne ho mai vissute, prima d’ora”.

“Prova a spiegarmi. Magari anche un guerriero ignorante come me può aiutarti, in questa circostanza”.

“Allora… tutte le volte che entro in contatto con un essere senziente mi trasmette una sensazione di paura. Ecco, questo è certo: gli animali e le piante avvertono un pericolo, anche se l’origine di questo timore è loro ignota”.

“Bene! Dovrebbe trattarsi del nemico di cui andiamo alla caccia. O mi sbaglio?”.

“Non sbagli, in teoria. Il problema è che, se io provo a proiettarmi con la mia energia interiore nella direzione da cui dovrebbe provenire il pericolo… non sento nulla. Il male non lascia traccia alcuna!”.

“E cosa vuol dire questo, secondo te?”.

“Ci ho pensato a lungo, ma le soluzioni che mi vengono in mente sono solamente due”.

“Sarebbe a dire?”.

“La prima e che l’essere (o la cosa) che gli esseri viventi temono non costituisce in realtà un pericolo. E quindi non ci sarebbe nessun mostro da affrontare o da distruggere. Oppure…”.

“Oppure?”.

“Oppure il nemico è talmente abile e astuto da riuscire a celarsi alla mia mente. In tal caso avremmo a che fare con un avversario estremamente pericoloso”.

“E l’unica via per scoprirlo è quella di avvicinarsi sempre di più alla sorgente delle tue percezioni”.

“Esatto”.

Thielvar fece un lungo sospiro: “Io mi fido di te, Vidimer”.

Il druido mise una mano sulla spalla del guerriero: “Ti ringrazio, amico mio”.

Thielvar sorrise: “Sai che è la prima volta che me lo dici, in tanti anni?”.

“Forse… ma tu hai sempre saputo di esserlo. Non negare”.

Il guerriero avvicinò un pezzo di carota alla bocca di uno dei cavalli, che divorò con gusto quel boccone prelibato. Poi assunse una postura solenne e, imitando la voce del druido, sussurrò: “Già”.

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4.

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Il tramonto avvolgeva l’intera foresta di un bagliore rossastro, donando al paesaggio circostante un’atmosfera che invitava alla meditazione serena di fine giornata.

Il druido Vidimer fissava pensieroso l’orizzonte: con i suoi stivali in cuoio e la sua tunica di lana grezza dei colori dell’autunno si confondeva completamente con la natura circostante; di tanto in tanto, annusava l’aria, come fosse alla ricerca di una qualche forma di messaggio dalle onde del vento, e posava lo sguardo sulle creature del bosco: dagli occhi languidi dei caprioli e degli scoiattoli rossi tentava di carpire quello che la natura poteva trasmettergli; dal volo dei rapaci e dalla forma delle nubi intuiva i capricci del tempo atmosferico nei giorni a seguire.

D’un tratto, si girò e rivolse la parola ai guerrieri che lo stavano accompagnando in quella ennesima avventura; gli uomini d’arme erano ancora intenti a sistemare le loro cotte di maglia e a tenere le armi ben affilate.

“Siamo finalmente giunti alla meta. – esordì il druido - Vedete quella montagna davanti a noi? Quella dove si sta dirigendo quello stormo di uccelli?”.

“La vediamo, Vidimer – rispose Uthgar – È lì che dobbiamo dirigerci?”.

“È lì che dovrò affrontare il nemico”, sussurrò il druido.

“Abbiamo fatto bene a molare il nostro acciaio, allora. Ci sarà bisogno di combattere”, commentò Thorismund.

Vidimer si voltò e incrociò lo sguardo del giovane guerriero: “Andrò io da solo, Thorismund. Le vostre armi non servono più”.

“Ne sei sicuro, o druido? Scusa se te lo dico, ma negli ultimi giorni mi sei sembrato un po’ spossato per il viaggio. Come pensi di affrontare da solo il mostro?”.

Vidimer increspò le labbra in un mezzo sorriso: “Ti ho detto che da ora in poi basto io. Non preoccupatevi per me”.

“Ma sì, Thorismund! – eclamò Uthgar – Non sapevi che i druidi riescono a polverizzare le forze del male con la loro magia?”.

“Come sarebbe a dire? Se sai fare magie, perché non le hai usate durante il viaggio? Abbiamo affrontato briganti e belve feroci”.

Vidimer sorrise: “Noi druidi non facciamo uso di magia: questo dovreste averlo imparato, ormai”.

“Come sarebbe a dire? Ho visto alcuni dei tuoi confratelli evocare fulmini e saette dal nulla. Non è magia, quella?”.

Il druido assunse una espressione grave: “Il mio ordine non studia le arti oscure della stregoneria; siamo però in grado di percepire più degli altri le linee del Wyrd”.

“E che cosa vuol dire?”, domandarono quasi all’unisono i due giovani guerrieri.

Un Thielvar dall’aria sconsolata non riuscì a nascondere un lamento: non era la prima volta che assisteva alle spiegazioni del druido.

“L'intero universo è percorso da invisibili linee di potere; tutte insieme esse formano la grande ragnatela che i saggi chiamano Wyrd.

Tutte le volte che accade un evento in natura almeno una linea di potere tenderà a vibrare e a trasmettere il suo sommovimento alle linee vicine: ecco perché si dice che perfino il battito d’ali di una farfalla possa essere collegato ad un altro evento accaduto dall’altra parte del mondo. Capite cosa intendo?”.

I due giovani annuirono.

“Gli iniziati più esperti, come i druidi, sono in grado di percepire quando una delle linee del Wyrd sta vibrando, capirne le cause e prevederne le conseguenze sugli eventi presenti e futuri”.

“E questo cosa c’entra con i vostri poteri?”, incalzò Uthgar.

“Noi non abbiamo poteri. Almeno non nel senso che intendete voi. Non possiamo evocare dal nulla quello che desideriamo. Possiamo però assecondare, mitigare e a volte anche esaltare le vibrazioni del Wyrd. E questo viene scambiato da molti per magia. Ma un druido non potrebbe mai fare uso di questo talento per soddisfare un suo desiderio personale o un capriccio. Noi possiamo agire solo se in armonia con la natura”.

“Adesso ho capito: per questo non sei intervenuto quando ci hanno attaccato i lupi la notte scorsa”, disse Thorismund.

“Già. Quegli animali cercavano solamente di nutrirsi e questo non stona nel disegno generale della natura”.

“Ma potevano mangiare noi!”, esclamò Uthgar.

“Esatto! - si intromise Thielvar – Ecco perché in questi casi intervengo io creando una barriera di fuoco attorno al nostro accampamento. Ciò scoraggia i predatori e ci consente di salvare la pelle”.

“Se al posto dei lupi ci fosse stato un demone assetato di sangue, il cui unico scopo fosse stato quello di fagocitare le linee del potere… ecco, in quel caso sarei intervenuto. La natura intera avrebbe convogliato nelle mie mani il potere di evocare fulmini o altre forze in grado di fronteggiare la minaccia rivolta contro il Wyrd. Tutto chiaro, adesso?”.

“Tutto chiaro”, disse Uthgar.

“E ora capisco perché dovrai entrare da solo all’interno della montagna”, commentò Thorismund.

“Se entro l’alba non mi vedete uscire fuori… fuggite!”.

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5.

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Erano passati molti giri di clessidra: Vidimer si stava inoltrando all’interno dei cunicoli che, partendo dalle radici della montagna, si addentravano nell’oscurità; grazie alle sue percezioni sensoriali amplificate egli “vedeva” chiaramente che, alla fine di quel labirinto, ci sarebbe stata una caverna e che li avrebbe trovato ciò che stava cercando.

Per quanto si sforzasse di mantenere la lucidità, il druido si sentiva oppresso da un qualcosa che non riusciva a spiegare, ma che gli provocava una certa inquietudine; l’esperienza di camminare al buio in un ambiente chiuso e claustrofobico avrebbe messo a dura prova chiunque, anche l’uomo più impavido e valoroso: ma lui era un druido, ed era in grado di percepire le vie della natura e il brulicare dell’esistenza: come non avvertire il soffio vitale degli insetti, degli esseri vermiformi e dei piccoli anfibi anche in quell’ambiente così estremo? Quei segnali a lui familiari aiutavano Vidimer ad andare avanti, ignorando la difficoltà di quel percorso.

No, la sua tensione dipendeva da altro; e lui lo sapeva: era il fatto di non essere ancora riuscito a trovare una risposta alla domanda che si era posto sin dall’inizio di quell’avventura. Che cosa poteva mai essere quell’entità che gli animali del bosco temevano ma di cui lui non riusciva a percepire alcuna aura di malvagità?

Vidimer accelerò il passo; era evidente che la sua curiosità sarebbe stata soddisfatta solamente in fondo a quel groviglio di passaggi nel sottosuolo.

​

L’ultimo vicolo era talmente angusto che il druido riusciva a malapena a stare in piedi; con uno sforzo sovrumano, ignorò le sensazioni di panico che si stavano impadronendo di lui e giunse infine là dove le sue visioni lo avevano condotto sin dall’inizio: un antro dalle dimensioni smisurate, dove lo sguardo poteva contemplare l’orizzonte senza riuscire a cogliere i confini di quell’ambiente così vasto.

Con studiata lentezza, Vidimer iniziò a modulare il movimento delle dita della sua mano destra, seguendo schemi e formule arcane, più antiche della civiltà degli uomini: una fiammella di luce venne emanata dal suo palmo, illuminando la caverna. Il druido ne fu compiaciuto: se riusciva ad evocare la luce, questo significava che le linee del potere sgorgavano in lui e che la Grande Madre Terra assecondava il suo operato.

Vidimer si guardò attorno: non riusciva a scorgere alcuna traccia di vita attorno a lui e questo non faceva che tormentarlo sempre di più; ma la cosa che lo stupiva maggiormente era che quella caverna riluceva di gemme e metalli preziosi, in quantità tale da rendere immensamente ricco non solo chiunque fosse riuscito a entrarne in possesso, ma anche la sua discendenza. Chi poteva aver accumulato tutte quelle ricchezze in quei luoghi? E perché le cronache non ne avevano lasciato traccia?

Vidimer cercò di affinare e sue capacità sensitive ma ancora una volta non riuscì a venire a capo di quel mistero: nessuna traccia di una creatura vivente aleggiava in quell’atmosfera così buia.

Improvvisamente, un’ondata di emozioni si abbatté su di lui, come lo avesse travolto l’onda più alta di un mare in tempesta.

Telepatia! Quell’essere conosceva la dote arcana e rara della telepatia: e stava cercando di trasmettergli qualcosa…

Il druido rimase scosso: certo, poteva esser lieto di avere finalmente individuato la creatura che andava cercando; ma la vera essenza dell’estraneo rappresentava ancora un mistero, per lui.

E poi… quell’uragano di sensazioni che gli erano arrivate addosso tutto ad un tratto rappresentava un fardello troppo grande da poter essere sostenuto con mente salda.

Vidimer riusciva a percepire una moltitudine di emozioni diverse e discordanti tra di loro: timore, rabbia, istinto di sopravvivenza e… amore; molti impulsi albergavano nella mente di una creatura dalla struttura evidentemente assai complessa.

Il druido, ad un tratto, sentì che quella strana entità si stava avvicinando a lui; sgranò bene gli occhi e vide un essere serpentiforme, dalla lunghezza smisurata; aveva quattro zampe munite di artigli e ali membranose simili a quelle di un pipistrello; squame e scaglie dal colore verdastro gli ricoprivano tutto il corpo; il muso dotato di corna appuntite rivelava una dentatura affilata, in grado di sbranare qualsiasi creatura del bosco con un morso solo (“Per questo le creature della foresta ne hanno paura”, pensò il druido). Ma ciò che colpiva maggiormente era lo sguardo magnetico della creatura: due occhi di smeraldo rivelavano la maestà di una nobile specie, dal passato millenario.

​

“Chi sei?”, domandò il druido.

“Sono un drago - rispose la creatura – Tu, piuttosto, chi sei? Sei venuto anche tu per uccidermi e per impadronirti del tesoro?”. E, detto questo, esalò uno sbuffo di aria arroventata.

Vidimer deglutì: quell’essere misterioso possedeva la capacità di sputare fuoco! Come affrontarlo, in caso di pericolo? Il druido avrebbe potuto evocare uno sciame di insetti ma… avrebbe fatto in tempo a pronunciare le parole arcane prima che la creatura lo facesse a pezzi?

Vidimer, tuttavia, continuava a non percepire alcuna aura maligna nel drago; decise allora di tentare la via del dialogo.

“Non sono un avventuriero. E non sono qui per uccidere. Sono un druido e se sono qui è perché sono stato chiamato dal Wyrd”.

“Un druido? Interessante! Forse allora potrò fare a meno di ucciderti”.

“E perché dovresti uccidermi…?”.

D’un tratto, Vidimer trovò immediatamente la risposta ai suoi interrogativi: il movimento di alcuni esserini simili al drago rivelò al druido la verità.

I suoi cuccioli!

La creatura voleva proteggere i suoi cuccioli!

Il drago digrignò i denti e dalla sua bocca fuoriuscì nuovamente un mortale alito di fiamma ardente.

Vidimer comprese che, se il drago avesse voluto, lo avrebbe carbonizzato in pochi istanti con il suo soffio.

“Pace”, sussurrò il druido.

“Pietà per i miei figli”, rispose il verme alato.

“Perché hai paura di me?”.

“E me lo chiedi? Guardami negli occhi”.

Un attimo dopo il dragò fisso il druido con il suo sguardo ipnotico; le sue pupille dilatate erano di un rosso rubino intenso. Vidimer riuscì così ad immergersi nei ricordi e nelle memorie ancestrali di quella creatura…

​

Dietro lo sguardo di quell’essere arcano c’era la storia di una specie antichissima che aveva fatto la sua comparsa milioni di anni prima. Quelle creature ancestrali provenivano dalle remote stelle e avevano trovato rifugio in un pianeta che si era dimostrato per loro ospitale e accogliente. Per secoli, si erano confusi con la fauna locale in piena armonia con il resto della natura. Con il tempo, tuttavia, la stirpe dei draghi aveva dovuto affrontare l’ostilità e l’inimicizia degli esseri umani, che li avevano cacciati e perseguitati con una crudeltà mai vista; false leggende erano state create per far credere che fossero apportatori di morte e distruzione, mentre essi chiedevano solo di continuare ad abitare quel mondo che li aveva accolti tanto tempo prima[2]”.

 

Il druido vide così la storia di un’arcaica stirpe, che aveva accumulato un grande sapere e grandi ricchezze nei secoli e che, con l’avvento dell'uomo, era stata costretta a ripiegarsi negli angoli più nascosti della terra perché perseguitata dalla specie umana, che la vedeva come un nemico da combattere e da estirpare.

​

Vidimer abbassò lo sguardo e pianse calde lacrime.

“Chiedo perdono. Ti chiedo perdono io a nome di tutta l’umanità. Chiedo perdono per la nostra stupidità”.

“Che me ne faccio del tuo perdono? Forse che salverà i miei figli?”.

Il druido affrontò nuovamente lo sguardo del drago: “Salverò io i tuoi cuccioli”.

“E come?”.

Vidimer ci pensò un attimo; poi iniziò a cantare una nenia, che avvolse la montagna con un incantesimo di protezione.

L’essere serpentiforme iniziò a scrutarlo con interesse. “Ma allora è vero che anche tra gli uomini esiste la nobiltà d’animo”.

Il druido annuì. “Per secoli nessuno potrà accedere a questa montagna perchè tutti la riterranno maledetta. Quando i tuoi cuccioli saranno adulti, spero che gli individui della mia specie siano in grado di vedere al di là delle apparenze”.

Il drago annuì.

“Posso chiederti di portare con me una parte del tesoro? Servirà a convincere i miei compagni di avventura che il nemico non esiste più… che è stato sconfitto”.

“Sta bene”, annuì la creatura.

​

6.

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Le prime luci dell’alba rischiararono il paesaggio che circondava la montagna incantata, che venne così avvolta da un mantello roseo e scintillante.

A poca distanza da quelle alture, tre guerrieri armati con una cotta di maglia stazionavano, in trepida attesa del loro compagno di avventura.

Ad un tratto lo videro riemergere dalle profondità della montagna: aveva un’espressione di sollievo stampata sul viso ricoperto di lacrime di rugiada.

“Vidimer!”, gridò Thielvar agitando le mani in segno di saluto - Sapevo che ce l’avresti fatta”.

“Neppure io avevo dubbi”, esclamò Uthgar.

Thorismund fissava il druido con uno sguardo di ammirazione; non poté fare a meno di notare il sacco che portava sulle spalle. “Hai fatto bottino?”.

“Sì. Oro, gioielli e pietre preziose; quanto basta per sistemarci per una vita intera”.

“E il nemico?”, sussurrò Thielvar.

“Non è più una minaccia”, commentò laconico Vidimer; ma non poté fare a meno di rivolgere un ultimo sguardo alla dimora dei draghi.

 

 

​

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Alla fine, i draghi presero l’unica decisione che li avrebbe preservati dall’ira e dalla cecità degli umani, senza scatenare una guerra. Si nascosero alla vista degli uomini e si rifugiarono nella dimensione della favola e del mito, dove potevano essere scorti solo dalla mente degli spiriti eletti. In questo modo, l’antica stirpe riuscì a sopravvivere ai danni provocati dalla scelleratezza degli uomini.

Alcuni esemplari, tuttavia, decisero di rimanere vicini a coloro che erano in grado di preservare l’equilibrio delle forze dell’universo, infondendo loro coraggio e sapienza. Le Cronache narrano che essi combatterono a fianco dei druidi e delle forze del Bene nelle più aspre battaglie contro le forze del Caos.

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ENCICLOPEDIA DEL SAPERE[3]

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[1]    Secondo l'antico diritto germanico, il guidrigildo era il prezzo che l'uccisore doveva pagare alla famiglia dell'ucciso per riscattarsi dalla vendetta. Qui viene ovviamente citato in senso ironico.

[2]    D. BELLO, Hoenir il druido, GDS, 2021, pag. 226 [N.d.A.].

[3]    Le note riportate dalla Nuova Enciclopedia del Sapere sono tratte dall’opera redatta dai Seguaci del Nuovo Credo, pubblicata a Byze nel 1058 E.G. (anno 90 dell’Era del Nuovo credo), per concessione della Biblioteca di Nuova Urbe.

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