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Esiodo

LE OPERE E I GIORNI

 

(a cura di Daniele Bello)

 

Parte I

(vv. 1-335)

​

Proemio (vv. 1-10)

 

Muse Pieridi, che donate la gloria con il vostro canto,1

cantate e celebrate ora il padre Zeus;

per opera sua gli uomini sono illustri e oscuri,

noti e ignoti, per volere del grande Zeus.

Facilmente, infatti, egli dona la forza, abbatte chi è forte,5

facilmente umilia chi è grande ed esalta l'umile,

facilmente raddrizza chi è iniquo ed abbatte il superbo,

Zeus che tuona profondo ed abita le eccelse dimore.

Ascoltami, volgendo lo sguardo e l’orecchio: tu emetti le sentenze

con giustizia ed io esporrò il vero a Perse.10

 

Le due contese (vv. 11-26)

 

Sulla terra non vi è un solo genere di Contesa,

ma ve ne sono due: una viene lodata da chi la conosce,

l'altra è degna di biasimo: hanno infatti un'indole diversa;

l'una infatti favorisce la guerra luttuosa e la discordia:

nessun mortale la ama, ma per necessità15

e per volontà degli immortali rispettano la triste Contesa.

L'altra venne generata per prima dalla Notte oscura

e il Cronide dall’alto trono, che ha dimora nell'etere,

la pose alle radici della terra; per gli uomini è assai meglio:

essa, infatti, esorta al lavoro anche il pigro;20

perché questi volge lo sguardo ad un ricco

che si sforza per seminare, coltivare e far prosperare 

la casa; allora il vicino emula il vicino che si adopera 

per arricchirsi; e questa è una sana Contesa tra gli uomini;

il vasaio gareggia con il vasaio, l’artigiano con l’artigiano,25

il povero con il povero, il cantore con il cantore.

 

La lite con Perse (vv. 27-41)

 

Perse, poniti questo in mente:

la Contesa che gioisce del male non ti distolga dal lavoro

per ascoltare la piazza o le liti.

Poco tempo rimane per le contese e i discorsi30

a chi non ha in casa i mezzi sufficienti per vivere,

la spiga di Demetra e i frutti di stagione che la terra produce.

Tu, quando di ciò avrai abbondanza, muovi pure liti e contese

per i beni altrui. Non ti sarà possibile farlo 

una seconda volta: definiamo ora la nostra contesa35

secondo retta giustizia che, provenendo da Zeus, è la migliore.

Avevamo già diviso le nostre parti, ma tu volevi

prendere altro e portartelo via, lusingando i giudici

divoratori di doni, i quali sono disposti ad emettere tali sentenze.

Stolti! Non sanno che la metà vale più dell’intero40

né quanta ricchezza si cela nella malva e nell'asfodelo.

 

Zeus, Prometeo e il mito di Pandora (vv. 42-105)

 

Gli Dei infatti tengono nascosti agli uomini i mezzi di sostentamento;

se così non fosse, lavorando un solo giorno facilmente

ti procureresti da vivere per un anno, restando poi nell'ozio;

presto appenderesti il timone sul focolare45

e sarebbe finito il lavoro dei buoi e delle mule pazienti.

Ma Zeus li nascose adirato dentro il suo cuore

perché Prometeo dagli astuti pensieri lo aveva ingannato;

per questo meditò tristi sciagure a danno degli uomini 

e celò il fuoco; ma il nobile figlio di Iapeto 50

lo rubò, a beneficio degli uomini, a Zeus dai saggi consigli:

ingannò Zeus che si rallegra della folgore e lo pose in un bastone cavo.

Adirato, Zeus adunatore di nubi disse:

“Figlio di Iapeto, tu che sei il più ingegnoso di tutti,

ti rallegri di avermi ingannato e del fuoco rubato:55

un grande male verrà per te stesso e per gli uomini futuri:

in cambio del fuoco, io darò loro un male, del quale tutti

nel cuore si rallegreranno, circondando d’amore il loro male”.

Così parlò, poi rise il padre degli uomini e degli Dei:

ordinò poi all’illustre Efesto di impastare60

velocemente terra e acqua, ponendovi dentro voce umana

e vigore; di formare una figura bella e amabile di vergine,

simile nell’aspetto alle Dee immortali; poi disse ad Atena

di insegnarle le arti, come quella di tessere trame dai molti ornamenti;

disse ad Afrodite di effonderle grazia intorno alla fronte,65

il tormentoso desiderio e le pene che distruggono le membra;

ordinò a Hermes, il messaggero Argifonte,

di ispirarle un’anima impudente e un’indole scaltra.

Così disse, e quelli obbedirono ai voleri di Zeus il Cronide;

allora l’illustre Ambidestro plasmò dalla terra 70

un’immagine simile a vergine casta, secondo la volontà del Cronide;

la dea glaucopide Atena le annodò la cintura e l'adornò;

attorno a lei le Cariti e la veneranda Peithò (la Persuasione)

le posero sul corpo aurei monili;

le Ore dalle belle chiome le intrecciarono collane di fiori di primavera;75

Pallade Atena adattò ogni ornamento al suo corpo.

Il messaggero Argifonte le pose dentro al petto 

indole ingannatrice, menzogne e astuti discorsi,

come voleva Zeus che tuona profondo; il divino

araldo degli Dei le diede la voce e chiamò questa donna80

Pandora, perché tutti gli abitanti dell’Olimpo

le diedero un dono, rovina per gli uomini che mangiano pane.

Poi, dopo aver compiuto l’inganno profondo e difficile,

il padre mandò l’illustre Argifonte, araldo veloce, 

da Epimeteo, per portare il dono divino; 85

Epimeteo non si preoccupò - come diceva Prometeo -

di non accettare mai un dono da Zeus Olimpio, 

nè di rimandarlo indietro, per evitare sciagure ai mortali:

egli comprese la disgrazia solo dopo aver accolto il dono.

Sino ad allora la stirpe degli uomini viveva90

lontano e al riparo dal male,  senza l’aspra fatica,

senza le malattie dolorose che portano alla morte

- rapidamente, infatti, invecchiano i mortali nel dolore -.

Ma la donna, levando di sua mano  il grande coperchio dall'orcio,

disperse i mali e procurò agli uomini gli affanni luttuosi.95

Solo Elpis (la Speranza), nella casa intatta,

rimase sotto le labbra dell’orcio, né volò fuori,

perché la donna aveva rimesso il coperchio sull'orcio

per volere di Zeus Egioco adunatore di nubi.

I mali infinti vagano tra gli uomini,100

di mali è piena è la terra, ne è pieno il mare;

le malattie si aggirano tra gli uomini, alcune di giorno, altre di notte, 

portando dolore ai mortali a loro piacimento, in silenzio, 

perché della voce le privò il saggio Zeus.

Non è possibile ingannare la mente di Zeus. 105

 

Il mito delle età: l’età dell’oro (vv. 106-126)

 

Se lo desideri, darò coronamento al mio discorso con un altro racconto,

esposto bene e in modo opportuno: e tu convinciti

che gli Dei e gli uomini ebbero un origine comune.

Dapprima una generazione aurea di uomini mortali

venne creato dagli Immortali che hanno dimora sull’Olimpo.110

Erano i tempi di Crono, quando egli regnava nel cielo;

Gli uomini vivevano come Dei, senza affanni nel cuore,

al riparo da pene e miseria; né per loro arrivava

la triste vecchiaia, ma erano sempre forti nelle gambe e nelle braccia;

si rallegravano nei conviti, lontano da tutti i malanni;115

morivano come vinti dal sonno e per loro c’erano

ogni sorta di beni: la fertile terra dava spontaneamente

ricchi ed abbondanti frutti; e loro, contenti e sereni,

si godevano i loro beni, tra gioie infinite,

ricchi di greggi e cari agli Dei beati.120

Poi, dopo che la terra ebbe nascosto i loro corpi,

essi divennero spiriti venerabili (dàimones), per volere di Zeus grande:

sulla terra, benigni, essi sono i custodi degli uomini mortali

e si prendono cura della giustizia e delle azioni malvagie;

vestiti di nebbia, si aggirano dovunque sulla terra,125

ed elargiscono ricchezza: essi ebbero questo regale onore.

 

Il mito delle età: l’età dell’argento (vv. 127-142)

 

Gli abitanti delle olimpie dimore crearono quindi

una seconda stirpe, assai peggiore della prima: quella argentea,

per nulla simile, né per l'aspetto né per la mente, a quella aurea;

per cento anni il fanciullo veniva allevato in casa,130

giocoso e stolto, presso la saggia madre;

quando poi crescevano e giungevano al fiore della giovinezza

essi vivevano ancora per poco, soffrendo dolori

per la loro stoltezza, perché non potevano astenersi 

dalla tracotante violenza, né intendevano venerare135

gli immortali o sacrificare ai beati sulle are consacrate,

come è legge tra gli uomini secondo il costume. 

Zeus Cronide, sdegnato, li fece morire, perché non vollero

rendere gli onori agli Dei beati che abitano l'Olimpo.

Poi, quando la terra ebbe ricoperto anche questa stirpe,140

essi vennero chiamati presso i mortali inferi beati,

demoni inferiori: anche loro si accompagna onore.

 

Il mito delle età: l’età del bronzo (vv. 143-155)

 

Zeus padre generò una terza stirpe di gente mortale,

fatta di bronzo, in nulla simile a quella d’argento,

nata dai frassini, violenta e terribile: costoro avevano care145

le opere dolorose e la violenza di Ares, né mangiavano pane,

ma avevano il cuore di adamante, senza paura;

erano orrendi: grande era il loro vigore e braccia invincibili

spuntavano dalle loro spalle sopra le membra possenti;

di bronzo erano le loro armi, di bronzo le case,150

con il bronzo lavoravano perché il nero ferro non c’era.

Costoro furono distrutti dalle loro stesse mani,

partirono per la tenebrosa dimora del gelido Ade,

senza fama: la nera morte, per quanto temibili fossero,

li colse ed essi lasciarono la splendente luce del sole.155

 

Il mito delle età: l’età degli eroi (vv. 156-173)

 

Poi, dopo che la terra ebbe nascosto anche questa stirpe,

sopra la terra feconda Zeus Cronide creò di nuovo 

una quarta stirpe divina, più giusta e migliore,

di uomini-eroi, detti semidei, che venne prima

della nostra generazione sulla terra infinita.160

La guerra malvagia e la battaglia terribile li distrusse,

alcuni a Tebe dalle sette porte, nella terra di Cadmo,

combattendo per le greggi di Edipo,

altri poi sulle navi che al di là del grande abisso del mare

vennero condotti a Troia, a causa di Elena dalle belle chiome:165

là il destino di morte li avvolse.

Ma poi il padre Zeus Cronide li pose ai confini della terra,

lontano dagli uomini, dando loro una dimora e i mezzi per vivere.

Essi abitano, con il cuore lontano da affanni,

nelle Isole dei Beati, presso Oceano dai gorghi profondi:170

felici eroi, per i quali il suolo fecondo produce

un raccolto fiorente e abbondante per tre volte l’anno;

[lontano dagli immortali, essi hanno Crono per re].

 

Il mito delle età: l’età del ferro (vv. 174-201)

 

Non avrei mai voluto vivere con la quinta stirpe

degli uomini: fossi morto già prima, oppure nato dopo.175

Ora, infatti, la stirpe è di ferro; mai le genti

cesseranno di tormentarsi per le fatiche e gli affanni, 

né di giorno né di notte; e gli Dei manderanno loro aspre pene:

anche per costoro i mali si mischieranno con i beni.

Ma Zeus distruggerà anche questa stirpe di uomini mortali,180

quando gli uomini nasceranno già con le tempie bianche;

allora il padre non sarà simile ai figli, né i figli al padre;

l’ospite non sarà caro più caro all’ospite, 

né l’amico all’amico e nemmeno il fratello;

i genitori, una volta invecchiati, subiranno ingiurie185

e verranno rimproverati con male parole;

gli sciagurati, senza alcun timore degli Dei,

non daranno di che nutrirsi agli anziani genitori;

il diritto starà nella forza ed essi si distruggeranno a vicenda;

il giuramento non sarà rispettato, né lo sarà chi è giusto190

o buono; piuttosto, verranno rispettati il malvagio

e l'uomo violento; la giustizia si baserà sulla forza, non vi sarà

coscienza; il cattivo offenderà l’uomo buono

con parole perfide e spergiuri;

l’invidia dal volto impudente, amara di lingua e felice del male195

si accompagnerà a tutti i miseri uomini.

Sarà allora che la Coscienza e la Nemesi,

in candidi veli, nascondendo il bel corpo,

lasceranno i mortali e dalla terra con le sue ampie strade

si muoveranno verso l’Olimpo, dagli immortali;200

gli affanni luttuosi resteranno ma non ci sarà difesa contro il male.

 

L'usignolo e lo sparviero (vv. 202-212)

 

Ora io narrerò un apologo ai giudici sovrani, che pure sono assennati.

Ecco quello che lo sparviero disse all'usignolo dal collo screziato

mentre lo portava in alto, tra le nubi, dopo averlo ghermito con gli artigli;

l’usignolo, trafitto dagli artigli adunchi, pietosamente205

gemeva; ma lo sparviero parlò con superbia:

“Sciagurato, perché ti lamenti? Sei preda di chi è più forte di te;

andrai là dove io ti porterò, anche se sei un bravo cantore;

ti divorerò oppure, se voglio, ti lascerò andare.

Stolto è chi vuole opporsi ai più forti:210

non riporterà vittoria e al danno aggiungerà la beffa”.

Così disse il veloce sparviero, l'uccello che vola con le ali distese.

 

Giustizia e ingiustizia (vv. 213-247)

 

O Perse, ascolta la Giustizia e non alimentare la Prevaricazione (hýbris);

la prevaricazione è un male per i deboli; nemmeno il potente

la può sopportare facilmente e ne resta schiacciato215

quando si imbatte nella sventura; è migliore l’altra strada, 

quella che conduce alla giustizia che, al termine del suo corso,

ha la meglio sulla prevaricazione: lo stolto lo impara a suo danno.

Subito Orkos (il Giuramento) va assieme alle sentenze inique

e si leva la protesta della Giustizia, trascinata dagli uomini220

mangiatori di doni che amministrano la giustizia con sentenze inique;

ella piangendo li segue nelle città e nelle dimore dei popoli,

vestita di nebbia, portando sciagure agli uomini

che l’hanno bandita e non la amministrano rettamente.

Ma se i giudici esercitano la vera giustizia per i cittadini225

e i forestieri, mai allontanandosi dal giusto,

allora la città fiorisce e il popolo in essa risplende;

sulla terra regna la Pace nutrice di giovani, 

Zeus onniveggente non destina loro la guerra tremenda;

Agli uomini che seguono la retta giustizia non è compagna la Fame230

né la Sventura, nelle feste si godono i frutti dei sudati lavori;

per loro la terra produce frutti in abbondanza; la quercia sui monti

produce ghiande sulla cima e porta le api nel mezzo;

le greggi lanose sono oppresse dal vello,

le donne partoriscono figli simili ai padri;235

essi fioriscono di beni senza fine e non andranno

sulle navi, perché la fertile terra produce frutti.

A coloro che invece hanno nel cuore la malvagità e le opere ingiuste

il Cronide Zeus onniveggente assegna la pena;

spesso anche un’intera città viene punita per un uomo malvagio240

che si rende colpevole e macchina scelleratezze:

il figlio di Crono manda dal cielo un grande castigo,

la fame insieme alla peste; la gente muore,

le donne non partoriscono più, le case vengono distrutte

per il volere di Zeus olimpio; altre volte egli annienta245

il loro possente esercito, oppure il Cronide 

distrugge le mura o le navi sul mare.

 

Ammonimento ai giudici (vv. 248-273)

 

O giudici sovrani, meditate, anche voi su

questa giustizia; tra gli uomini, infatti,

gli immortali guardano quanti commettono ingiustizia250

con sentenze inique, senza timore degli Dei.

Trentamila sono, sulla terra feconda,

gli immortali mandati da Zeus come custodi degli uomini,

che osservano le sentenze e le opere scellerate,

vestiti di nebbia, sparsi ovunque su tutta la terra.255

E vi è la vergine Dike (la Giustizia), nata da Zeus,

nobile e venerata dagli Dei che abitano l'Olimpo;

quando qualcuno l'offende e, iniquamente, la disprezza,

ella si siede presso il padre Zeus, figlio di Crono

e a lui racconta gli ingiusti pensieri degli uomini affinché 260

il popolo paghi le follie dei giudici sovrani che meditano 

inganni ed emettono le loro inique sentenze.

A questo pensate, o giudici sovrani, operate rettamente,

voi divoratori di doni, e dimenticate le sentenze ingiuste;

l’uomo che prepara il male altrui fa del male a se stesso265

e un cattivo pensiero porta danno a chi lo ha pensato;

lo sguardo di Zeus che tutto vede e tutto comprende

scorge anche questo, se vuole, né gli sfugge

quale sia la giustizia che si amministra in una città.

Ora io non vorrei essere giusto tra gli uomini270

e nemmeno che lo fosse mio figlio; perché è male essere

onesti se è il malvagio ad ottenere giustizia.

Ma io credo che Zeus non permetta tutto ciò.

 

La legge degli uomini (vv. 274-285)

 

O Perse, riponi nel cuore questi precetti:

ascolta la giustizia e dimentica la violenza.275

Tale è la legge che agli uomini impose il figlio di Crono:

ai pesci e alle fiere e agli uccelli alati impose

di divorarsi tra di loro, poiché tra loro non vi è giustizia;

ma agli uomini diede la giustizia, che è cosa molto migliore;

se infatti qualcuno, conoscendo il vero, emette280

giuste sentenze questi viene beneficiato da onniveggente;

ma chi, deliberatamente commette spergiuro e rende

falsa testimonianza inganna la Giustizia e commette un crimine

senza rimedio; la sua progenie sarà oscura

e fiorirà la stirpe dell'uomo che ha giurato il vero.285

 

La via del bene (vv. 286-297)

 

Pensando al tuo bene, stoltissimo Perse, io ti parlerò:

è facile avere una vita grama, anche in grande

abbondanza: la strada è piana ed è molto vicina.

Ma gli Dei hanno posto il sudore davanti alla prosperità:

lunga e difficile è la strada e, al principio,290

ardua; ma quando sei giunto alla vetta

diventa agevole (per quanto sia difficile).

Migliore di tutti è l’uomo che capisce tutto da sé,

sapendo su ciò che alla fine sarà il meglio;

capace è anche colui che ascolta chi lo consiglia bene;295

ma chi non sa capire da solo e non dà retta

ai buoni consigli, costui è un uomo da poco.

 

Necessità del lavoro (vv. 298-319)

 

Ma tu ricorda sempre i miei consigli:

lavora, Perse, progenie divina, affinché la Fame

ti abbia in odio e ti ami invece l’augusta Demetra dalla bella corona300

e ti riempia il granaio di ciò che occorre per vivere.

La Fame è sempre la compagna dell’uomo pigro;

gli uomini e gli Dei hanno in odio chi rimane inoperoso,

simili nell’indole agli inetti fuchi privi di pungiglione,

che consumano la fatica delle api mangiando;305

a te sia caro occuparti del lavoro al tempo giusto,

in modo che il granaio si riempia di cibo nella sua stagione.

Grazie al lavoro gli uomini diventano prosperi e ricchi di armenti;

lavorando diventerai molto più caro agli immortali

e anche agli uomini, perché hanno in odio i pigri.310

Il lavoro non è vergogna; è vergogna l’ozio;

se tu lavori, presto ti invidierà chi è senza lavoro,

mentre tu ti arricchisci; perché chi è ricco ha fama e benessere;

quale che sia la tua sorte, è meglio lavorare.

Distogli l’animo sconsiderato dai beni altrui315

e pensa al lavoro, ai mezzi per vivere, come ti consiglio.

Non è una buona vergogna quella che accompagna l’uomo indigente

(la vergogna può aiutare o danneggiare gli uomini):

alla miseria si aggiunge vergogna, alla fortuna l’ardire.

 

La violenza e il furto (vv. 320-335)

 

La ricchezza non deve essere un furto: è meglio quella che danno gli Dei;320

se qualcuno conquista grandi beni con la violenza

o con lo spergiuro, come spesso 

suole accadere, quando la bramosia vince la mente

dell’uomo e allora la sfrontatezza vince la decenza;

allora gli Dei facilmente abbattono la casa325

di quell’uomo: la fortuna lo seguirà per poco tempo.

Lo stesso avviene per colui che usa violenza all’ospite

o al supplice, o colui che viola il talamo del fratello

in amplessi furtivi con la sposa di lui, compiendo uno scellerato delitto;

per colui che – pazzo! - commette ingiustizia contro gli orfani,330

per colui che insulta con aspre parole

l’anziano suo padre, sulla triste soglia della vecchiaia;

Zeus stesso si adira contro costoro e, alla fine,

dà aspro compenso alle azioni malvagie.

Ma tu allontana sempre la tua mente leggera da tali empietà.335

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